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Il libro
La guerra del romanzo di Roberto Betz è quella vista dal basso, attraverso le privazioni e le sofferenze della povera gente. È la stessa guerra di centinaia di migliaia di altri giovani, illusi da un regime ottuso e poi abbandonati tra i flutti della più grande tragedia del XX secolo. Ragazzi cresciuti nella retorica guerresca del fascismo, o nel migliore dei casi nella più cieca apatia, che quell’8 settembre del 1943 si trovarono nel mezzo della catastrofica dissoluzione di uno Stato. Ancorato al lavoro in fabbrica come un naufrago a una zattera in mezzo all’oceano, tutte le certezze del piccolo mondo di Caio crollano quando la crudele concretezza della guerra irrompe nella sua realtà quotidiana, squarciando ogni velo d’indifferenza e passività. Nel momento in cui l’alternativa è compiere una scelta o lasciarsi trascinare alla deriva dalla corrente, Caio decide di intraprendere la strada più dura e di unirsi ai partigiani, ritrovando assieme a loro, nella lotta contro il nazifascismo e nella speranza che da essa possa nascere un mondo più libero e giusto, la sua dignità di essere umano e il vero valore del vivere. La vicenda, che prende l’avvio dagli scioperi nelle fabbriche milanesi del marzo ‘43, ha il suo momento focale sui monti della Val d’Ossola, luogo chiave dell’esperienza resistenziale, dove parecchi mesi prima del collasso del Reich nazista e del suo fantoccio di Salò ebbe vita una delle più importanti repubbliche partigiane. Una risposta ideale a una recente letteratura resistenziale che, a prescindere dall’indiscutibile successo commerciale, non è altro che una confortevole anfibologia letteraria: né saggio né romanzo; e allo stesso tempo l’uno e l’altro insieme. Dimodoché l’autore può replicare, a chi solleva obiezioni sulla scarsa consistenza dell’apparato storiografico delle sue fatiche, che esse sono di genere narrativo, senza pretese scientifiche; quando invece la critica sottolinea la pochezza letteraria dei suoi scritti, egli la contesta rivendicandone la natura saggistica e sostenendo che avrebbero coraggiosamente spalancato un armadio zeppo di scheletri, finora tenuto sigillato da occulti interessi. Se non è possibile individuare esattamente il genere di appartenenza di questi libri è però evidente il loro processo evolutivo: partendo da una tesi confezionata aprioristicamente si cercano dei dati che possano in qualche modo sorreggerla. Metodo inaccettabile per una seria ricerca storica, e mediante il quale è ipoteticamente possibile avvalorare qualunque teoria. Al contrario, con La guerra di Caio, il milanese Roberto Betz ci offre un magnifico esempio di narrativa storica. Un libro controcorrente, in un’epoca di comoda smemoratezza, di pacificazioni nazionali condite di “saluti al duce”, di sfacciati revisionismi e di qualunquismo galoppante com’è quella che viviamo. Non un’apologia della Resistenza, dunque, ma una vicenda che, con onestà intellettuale, ci restituisce pagine di memoria preziose come ossigeno.
Francesca Dallatana, Gazzetta di Parma: Una fabbrica metalmeccanica, la fatica e la cultura del lavoro: la prima parte del romanzo è ambientata nelle corsie scandite da torni e frese e da operai specializzati alle prese con il millimetro, con le misure di precisione. Un paio di fotografie scattate all’interno della fabbrica bastano da sole a fare del romanzo un libro da leggere. La seconda parte ha un’ambientazione naturalistica ad alto im-patto emotivo: le montagne della Resistenza. Due, i personaggi: Caio e Ivano, che si incontrano nello stesso punto di intersezione della Storia arrivandoci in modo diverso.
Boris Borgato, Mangialibri: Roberto Betz fa della semplicità la sua arma migliore: La guerra di Caio risulta così un’opera immediata e di facile lettura che – priva delle pedanti prolissità a cui ci hanno abituati i molti romanzi storici basati sulle vicende della II Guerra Mondiale – preferisce dare spazio alle vicende quotidiane della famiglia Moroni.
Libertà quotidiano di Piacenza: La guerra, la resistenza, la dittatura fascista entrano con forza tra le pagine del volume, che narra con semplicità e franchezza le vicende di gente comune, uomini e non eroi ritratti sullo sfondo di un’Italia sfinita dal conflitto bellico.
Piera Maculotti, Brescia Oggi: [...] un intenso romanzo di formazione, un intreccio di verità storica e fantasia.
Marta Mazzolari, Supereva: [...] Roberto Betz ci restituisce così un universo drammatico ma vivo, una commovente rappresentazione del coraggio di una generazione che ha cambiato le sorti di questo paese.
Giornale di Sicilia: Caio è nome che indica anonimato, come Tizio. La “Guerra di Caio” indica proprio la battaglia dell’uomo comune, dell’uomo del popolo, del fuscello in balìa della tormenta. E la tempesta in questo caso è il 1943, l’epoca della catastrofica dissoluzione dello Stato. Spinto a decidere da che parte stare, il milanese Caio Moroni fa la scelta di raggiungere i partigiani in Valdossola. E di combattere…
Oreste Paliotti, Cittànuova: Un romanzo rigoroso, che si inserisce a pieno titolo nella grande letteratura della Resistenza italiana.
Giornale di Brescia: La guerra è quella vista dal basso, attraverso le privazioni e le sofferenze della povera gente. È la stessa guerra di centinaia di migliaia di altri giovani, illusi da un regime ottuso e poi abbandonati tra i flutti della più grande tragedia del Novecento. Ragazzi cresciuti nella retorica guerresca del fascismo. |
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Roberto Betz La guerra di Caio 2008, LP 98, 210x140 pagine 222 euro 14,50 Isbn 978-88-8003-320-2
Roberto Betz, docente di scrittura creativa e membro permanente del comitato editoriale della Tranchida, laureato in Scienze dell’Informazione nel 1989, è nato a Milano nel 1964. È stato allievo diplomato di Scuola Forrester dal 2003 al 2007. |
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