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Il libro
Un noir scritto da uno scrittore colombiano non può che affondare nella drammatica realtà sociale di quel paese, caratterizzata da una criminalità organizzata intorno al traffico della droga e ai sequestri di persona, in forme che investono le istituzioni e la stampa. Protagonista della storia è uno scrittore, Arsenio Cabrales, al quale Iriarte presta molto di se stesso, compresi i titoli dei libri che ha scritto. Cabrales viene avvicinato da un giornalista amico, Eduardo Quintana, che lo informa della stima di un boss della malavita organizzata, il principe della morte appunto, e del desiderio di quest’ultimo di lasciare una testimonianza della sua vita, ormai alla fine per un male incurabile, prima di consegnarsi alla polizia. Cabrales accetta l’incontro, non senza però prima avvertire un amico poliziotto, al patto che non intervenga fintantoché il boss non avrà reso tutta la sua confessione che lo scrittore tradurrà, ovviamente, in libro. Il poliziotto si dice d’accordo, mentre intanto lo seguiamo in altre operazioni di polizia, in particolare la liberazione di un sequestrato collegato all’ambasciata americana a Bogotá (spunto per delineare l’influenza degli americani nel paese). Parallelamente, seguiremo anche il giornalista Eduardo Quintana che viene assoldato da un uomo politico, in odore di corruzione, perché scriva di lui, allo scopo di migliorare la sua immagine presso gli elettori. La loro storia si intreccia con gli incontri che, intanto, Cabrales ha con il boss, a dimostrazione di come, in un paese come la Colombia, istituzioni, politici, giornalisti, intellettuali, hanno più ragioni di concomitanza a fronte di una massa di cittadini o inermi oppure separati da uno scontro decennale tra forze governative, organizzazioni paramilitari di estrema destra e fronti di guerriglia populista-marxista. Una condizione civile e sociale che spiega, ad esempio, perché anche gente come il principe della morte, di estrema ricchezza, viva in ville situate in quartieri blindati, interdetti ai cittadini che non siano in qualche modo autorizzati a varcare le linee di protezione. È in un luogo come questo che arriva Arsenio Cabrales, presto condotto al cospetto del grande, vecchio boss, ridotto ormai a una larva, con un macchinario artificiale che sostituisce il fegato ormai corroso dal cancro e che gli consente di bere gli esclusivi whisky di cui è ghiotto, mentre giovanette girano completamente nude per le varie stanze sollazzando la vista, e se è il caso, non solo quella, del padrone di casa e degli ospiti. Sulle pareti, quadri originali di Renoir e Degas, rubati ai musei di tutto il mondo. Gente, quella come il principe della morte, intoccabile, a dispetto dei crimini compiuti. Quali questi siano emergono ben presto, perché il principe della morte, desideroso di lasciare la testimonianza di tutte le efferate operazioni condotte in tanti anni di attività, le illustrerà a Cabrales con dovizia di particolari, immagini riprese da operatori preposti a documentarle per il gusto sadico della violenza da trasmettere magari in private proiezioni a beneficio degli amici. E parliamo di esseri umani a cui vengono tranciati gli arti con motoseghe, tra sangue che scorre a fiumi, mentre candidamente, a propria giustificazione, il principe della morte spiega: «Non creda, signor Cabrales, che quei quattro tizi fossero agnelli mansueti. Il disgraziato che mi parlò si vantava di aver cosparso una ragazzina di dodici anni e di averle dato fuoco, per vendicarsi del padre che gli doveva cinque miserabili milioni di pesos. Anche gli altri tre avevano precedenti atroci. Io avevo l’abitudine di informarmi molto bene sui miei “pazienti”.» Altre scene di analoga inaudita violenza, anche di carattere copro-sessuale, saranno fatte vedere in successivi incontri, alla fine dei quali Cabrales farà ritorno, sempre più dilaniato nell’animo, tra le braccia amorose della dolce compagna, che intanto vede arrivare a casa whisky esclusivi e quadri d’autore e conti bancari milionari, di cui a stento capisce la provenienza. Un ritratto che, da solo, esprime, con uno stile di grande immediatezza, battute teatrali, tratti rapidi e pennellate di colore, l’ambiguità e le contraddizioni di un mondo delirante nel quale invano lo scrittore cerca valori che diano un senso all’esistenza. [Diego Zandel, Gazzetta del Mezzogiorno]
David Frati, Mangialibri: «Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna... Meglio l’ora della morte che l’ora della nascita... Anche il Male, per quanto assoluto, sconvolgente e puro, come tutti gli aspetti dell’animo umano è governato dalla vanità. Lo afferma con fascinosa efficacia questa allegoria nera e violenta dello scrittore colombiano Rogelio Iriarte, che ci racconta gli ultimi giorni di un boss sanguinario e spietato ossessionato dal pensiero di consolidare presso i posteri una fama degna del suo terribile curriculum. Incartapecorito su una sedia a rotelle, Porfirio Gomez alias il Caimano racconta allo scrittore/giornalista Arsenio Cabrales (già protagonista di altri due romanzi di Iriarte, Gli assassini e Omicidi quotidiani, sempre editi da Giovanni Tranchida) le sue gesta efferate, delle quali fornisce prove dettagliate e agghiaccianti testimonianze videofilmate. Vezzeggiata da una squadra di ragazzine nude e disposte a tutto, la Morte muore, imprigionata nel corpo ormai disfatto di un uomo che vede il potere sfuggirgli dalle mani sotto la pialla della morte e tenta di resistere come può. Un terzo favola ricca di simboli, un terzo testamento raffinato di una figura di cattivo di rara intensità, un terzo squarcio sulla cronaca violentissima di una Colombia ancora alla mercé di trafficanti, mafiosi e killer, Il principe della morte è un romanzo che si legge davvero d’un fiato, non perché sia inzuppato di suspence e colpi di scena ma perché si ha come il pudore di interrompere la tensione del dialogo tra lo scrittore e l’assassino morente. Iriarte si conferma una delle realtà più importanti e una delle voci più vere della narrativa sudamericana.
Paco Bottone, Il Tempo di Leggere: «Scrittore colombiano, Iriarte ambienta i suoi romanzi noir nel mondo del malaffare sudamericano dove regna sovrana una lucida spietatezza di comportamenti e di azioni. In questo universo fosco, violento, non vi è speranza alcuna se non quella di riuscire a prevenire la sopraffazione altrui con atteggiamento di battagliero contrattacco. Ne Il principe della morte Arsenio Cabrales, già protagonista dei primi romanzi di Iriarte, viene avvicinato dal losco e potentissimo “Caimano” che gli affida l'impegnativo compito di dimostrare alla polizia la sua colpevolezza. Per prepararlo degnamente alla prova lo sottoporrà alla visione ripetuta di filmati raccapriccianti, testimonianza fedele dei delitti da lui fatti eseguire negli anni con rara ferocia. Sarà questo rapporto stretto e confidenziale con Cabrales a caratterizzare gli ultimi giorni di vita del Caimano, condannato a spegnersi lentamente per una grave malattia. Ed è in questo contrasto tra passato criminale ben vivo nella memoria e presente di sofferenza e dolore che avvicina alla morte, tra bieco cinismo e rassegnazione all'inevitabile che risiede il motivo dominante del romanzo messo su con ritmo sostenuto e nessun risparmio di crudo realismo e toni cruenti al limite dell'iperbolico da Iriarte, che qui mostra ancora una volta tutte le sue non comuni qualità di efficacissimo, empio narratore moderno.» |
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Rogelio Iriarte Il principe della morte Traduzione di Silvia Locatelli Cover Marco Ceruti 2010, BT 44, 200x135 pagine 163 euro 14,00 Isbn 978-88-8003-348-6
Rogelio Iriarte, nato a Convención Norte de Santander, Colombia, ha studiato sociologia presso l'Universidad Nacional di Bogotá, città dove vive e lavora, ed è diplomato in drammaturgia. Ha insegnato letteratura e teatro presso università e istituzioni private colombiane. |
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Vedi anche:
Gli assassini Omicidi quotidiani La mano dell’angelo
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