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Il libro
Abra Phillips vive in una fattoria lontana, lontana, lontana, in sintonia con una natura che è sua serva, sua amica e sua unica compagna, ma un accidente mette sul suo cammino solitario un richiamo a tempi che pensava di aver cancellato con un colpo di spugna. Mentre è china nel suo orto, nei panni dimessi di ogni giorno laborioso, vede una ragazza alta e sottile, che le viene incontro: ritrova sua figlia, abbandonata bambina nove anni prima. Per Abra, ormai senza identità, è uno shock. Tutto ciò con cui aveva tagliato drasticamente i ponti le si presenta davanti d’un tratto, con una fisicità che richiede considerazione, ascolto, amicizia, affetto. La figlia serve da evocazione del passato e Abra, pur con la difficoltà che incontro nell’instaurare un rapporto qualsiasi con lei dopo anni di rifiuto nei confronti del genere umano, si ritrova a scavare dentro se stessa e dentro i perché che hanno condotto alle sue drastiche scelte. La fattoria, visione divenuta realtà, il suo passato di ragazza, di donna giovane moglie e madre di due bambini, un vissuto che rotea lungo assi emotivamente squassanti. La ragazza che prima viveva in un appartamento modesto, lavorava in una boutique per mantenere il marito studente e contribuire all’andamento del bilancio familiare, la donna di poi, elegante, nella sua casa ugualmente elegante e spaziosa, con un giro di amicizie ugualmente elegante e selezionato, due bambini sani, intelligenti, anch’essi eleganti e armonici. Quella donna non esiste più, perché ha scelto di non continuare la sua vita vuota, basata sull’esteriorità e non sulla sostanza. Ora è una contadina di mezza età che vive senza specchi, senza orologi, seguendo il ticchettio del sangue che pulsa nelle vene, guidata dal susseguirsi delle stagioni e in balia di esse. La voce narrante è una terza persona – forse la seconda Abra – come se gli episodi venissero dall’esterno, nella continua e toccante analisi di un Io diviso, quasi schizoide, rifugiatosi in un mito creato su misura in cui i terzi, intesi come altri, non hanno alcuno spazio. Un libro dalla scrittura fluida, che narra senza sforzo apparente un episodio quasi “fantastico”, un libro in cui Abra, sforzatasi per amore di quella figlia estranea di tornare nel cosiddetto consorzio civile, cede all’ultimo minuto e torna a fare lo stesso tipo di vita che le è congeniale e, una volta operata nuovamente la scelta, non è più tormentata dall’incubo ove tutto ciò che la circondava era coperto di terra rossa, che penetrava in mille pertugi, mutando il volto del rassicurante paesaggio di ogni giorno. Quella sabbia, pesante e sconvolgente, d’un tratto spariva nel nulla, inghiottita in un buco di profondità insondabile, che lei scopriva sollevando semplicemente un ceppo. Abra ora dorme il sonno del giusto, tutta presa dalle sue semplici, ma vitali occupazioni. E non fa più quel sogno. Il suo gelido peregrinare a ritroso, svelando un’anima primordiale, affonda nei recessi più nascosti della memoria. Sembra la storia irreale di una “povera spostata”, incapace di accettare un “normale” ruolo di donna borghese, moglie e madre. Forse è un tentativo di ipotizzare quale sarebbe stato il destino futuro del consesso umano se tante altre donne, insoddisfatte della propria condizione, avessero imboccato il sentiero dello stacco totale invece di accontentarsi della via più banale del divorziato. Le sensazioni brusche, pressoché brutali che quest’opera suscita sono un miscuglio di comprensione per la protagonista, di rifiuto e di ripulsa per la malattia (?!?) che ha condotto alla scelta narrata e narrativa. L’eroina, con il suo nome evocativo da favola mediorientale, è un po’ l’inquieto cuore di tenebra che alberga in tutte noi, ma si ha anche la sensazione che, se questa donna fosse stata un uomo e avesse optato per lo stesso tipo di vita, un po’ alla Rip Van Winkle, il romanzo non sarebbe probabilmente mai stato scritto. Lidia Caselli, Leggere Donna
Times Literary Supplement: «Soprattutto un romanzo sull’integrità personale»
Globe and Mail: «... una storia irresistibile»
Publishers Weekly: «Abra è uno strano e indimenticabile personaggio»
London Free Press: «… è impossibile abbandonare questa storia…»
Calgary Herald: «… un libro di quest’epoca, un romanzo insaporito dalla sua bella scrittura, dalle sue percezioni, le sue sensazioni, la sua morale e i suoi dilemmi emozionali... un’avvincente storia su persone perdute»
Hamilton Spectator: «… è una storia coinvolgente di una donna che scopre delle forze nascoste, una nuova identità e la sua vera anima, e dovrebbe essere letto da tutti coloro che hanno sognato almeno una volta di fare un viaggio verso la libertà»
Books in Canada: «… è un libro strano e importante... è un romanzo rischioso, che esplora un nuovo territorio, e funziona»
Sheila Fishman, Toronto Star: «Abra Phillips è una delle migliori - realizzate, attraenti, (e problematiche) - donne che io abbia mai incontrato in un romanzo» |
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Joan Barfoot Storia di Abra Traduzione di Paola Monteverdi 2001, LP 64, 210x140 pagine 316 euro 15,50 Isbn 978-88-8003-240-3
Nata a Owen Sound, Ontario (Canada), nel 1946, Joan Barfoot si è laureata in Letteratura inglese alla University of Western Ontario nel 1969. Acclamata scrittrice internazionale, i suoi romanzi sono tradotti negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Svezia, Danimarca e Norvegia. Con Storia di Abra ha vinto il Canada Books Award e il Marian Engel Award. |
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